Amo allenare e sono convinto che attraverso un “processo” di training corretto, basato sulla conoscenza della materia e sull’esperienza maturata, ma anche sul rapporto che si costruisce con il singolo atleta, si possa raggiungere qualsiasi obiettivo.

Per questo faccio l’allenatore.

Sono le cose semplici, quelle che si compiono tutti i giorni, con continuità e perseveranza, a costruire la base della piramide per la performance.

Mi piace pensare di essere un viaggiatore, perché è questo che faccio: intraprendo un viaggio con il singolo atleta, con cui fisso e condivido la meta. Giorno dopo giorno imparo a conoscerlo, riuscendo così a mettere a punto le strategie di allenamento migliori.

Quello con il coach è un viaggio che deve regalare gratificazione all’atleta ma anche all’allenatore stesso e questo succede solo se il processo è corretto e si ha la “resilienza” di resistere alle frustrazioni che ogni lunga preparazione obbliga ad avere. A quel punto il traguardo sarà la normale conseguenza.

Troppo spesso noi allenatori ci limitiamo a guardare la pianificazione in modo unidirezionale… È come osservare un quadro da troppo vicino, non se ne distinguono i colori. Poche volte abbiamo la lucidità di allontanarci e guardare in modo chiaro e obiettivo tutto l’insieme, ciò che viene chiamato “the big picture”.

La meta la si raggiunge crescendo “fisicamente” e “atleticamente”, ma anche e soprattutto “psicologicamente”.