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Simone Diamantini

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Se il triathlon fosse solo allenamento e gara, sicuramente la vita sportiva di molti triatleti sarebbe più facile, più lineare. Lo spiego sempre a chi si rivolge a me per iniziare a praticare triathlon o per migliorare la propria prestazione. Solitamente si tratta di persone altamente motivate, molto determinate e ambiziose, che non padroneggiando scientificamente ed esperienzialmente la materia si affidano totalmente ai numeri e a tutti i dati che gli strumenti di nuova generazione (power meter, glucometro, gps, stryd ecc.) generano.

È ovvio che con gli atleti che hanno questo tipo di approccio alla multidisciplina il lavoro del coach inizia con l’insegnare loro a dare la giusta importanza a questi parametri. In altre parole è fondamentale educarli al principio base che i dati sono sì importanti ma sempre secondari rispetto alla performance (se vuoi approfondire l’argomento leggi QUI).

Il focalizzarsi troppo sui numeri può avere diverse conseguenze negative. La prima? Sicuramente non si sarà mai pronti a gestire un imprevisto e di conseguenza la risposta sarà tardiva o errata. Per chiarire meglio il concetto, voglio raccontarti cosa può succedere quando si gareggia non proprio dietro casa. Sono esempi, o meglio esperienze, da cui – ne sono sicuro – potrai imparare tanto.

A Yokohama per la World Triathlon Championship Series

A maggio ho accompagnato Bianca Seregni e Michele Sarzilla, atleti del DDS-7MP Triathlon Team, di cui sono direttore tecnico e allenatore, a Yokohama (Giappone), in occasione della World Triathlon Championship Series, la formula 1 del triathlon ossia il Campionato del mondo a tappe.

Tutti pensano che più il livello si alza, più le “facilities” sono ottimali e più diventa semplice ottenere servizi di qualità. Insomma, molti sono convinti che questa categoria di atleti sia, per così dire, coccolata o viziata.

Viaggio, transfer e attesa: anche questo è il triathlon

Innanzitutto, il viaggio è stato molto lungo e abbiamo volato in economy. Siamo arrivati a Yokohama alla 10 del mattino (tieni conto che in quel periodo Yokohama era sette ore avanti rispetto a noi) del lunedì e se ci si vuole adattare rapidamente al fuso orario, non si deve toccare il letto fino alla sera.

Appena sbarcati, abbiamo aspettato il transfert che ci avrebbe accompagnato all’hotel. Anche in questo caso va specificato che spesso la navetta “raccoglie” molti atleti che arrivano da più voli per poi accompagnarli ai vari hotel e di conseguenza, a volte, si è costretti ad attese di circa 2-3 ore in aeroporto… quando l’unico pensiero è quello di arrivare in camera per azzittire la fame e distendere finalmente le gambe. Sì, perché, una volta entrati in hotel, l’obiettivo è rimanere svegli e alimentarsi correttamente. In Giappone noi ne abbiamo approfittato per andare a pranzo.

Triathlon e rifinitura pre-gara: imprevisti dietro l’angolo

Nel pomeriggio del giorno d’arrivo ci siamo concentrati sul nuoto, per cui è stato necessario cercare la piscina perché l’organizzazione ha messo a disposizione la vasca solo dal giorno successivo. Ne abbiamo trovata una locale, con acqua a 30° e in cui sono vietati le virate classiche e l’uso di qualsiasi attrezzo. Perfino i tatuaggi sono da coprire. Ad aggravare il tutto è stato che in Giappone poche persone si esprimono in inglese, vuoi perché è un idioma difficile per loro, vuoi perché sono talmente precisi che se non lo “dominano” interamente non lo parlano.

L’indomani mattina abbiamo svolto l’allenamento di nuoto nella piscina messa a disposizione dall’organizzazione: all’aperto e con una temperatura dell’acqua di 19.8 gradi, aspetti che hanno reso obbligatorie muta e calottina. Ovviamente, in queste condizioni, qualsiasi allenamento previsto diventerebbe difficile da eseguire. Si può nuotare e basta.

Il giorno seguente abbiamo deciso di cambiare vasca: distava dall’hotel 30 minuti e ci è costata di taxi 50 euro; bellissima ma con alcune strane regole: solo una corsia per uso attrezzi e non appena si è terminato il lavoro è necessario lasciarla. Nessuna possibilità di video, è proibito l’uso di ciabatte e chi sta a bordo vasca deve avere pantaloni corti e polo o t-shirt con maniche corte. Dimenticavo: l’ingresso va pagato in contanti, non tutti hanno la carta di credito, e i tatuaggi vanno coperti.

Non che con il ciclismo ci abbiano reso la vita facile. La zona di Yokohama in cui abbiamo soggiornato è portuale e quindi non contempla la possibilità di pedalare su strada. Esiste solamente una pista ciclabile, che è pericolosa per le continue interruzioni. Come abbiamo risolto? Utilizzando il rullo e dal momento che in hotel non era possibile usarlo, Sarzilla e Seregni si sono ritrovati a pedalare sul marciapiede.

Per fortuna la corsa si può fare dovunque, anche se tutta su asfalto.

Quando tra i rischi c’è il terremoto

Sì, quando si raggiungono mete come, per esempio, Yokohama, bisogna essere preparati anche ad affrontare un terremoto o uno tsunami. O meglio, sono gli organizzatori che ti preparano: durante il briefing pre-gara ci è stato spiegato come comportarsi in caso di evacuazione.

Tra l’altro, proprio la notte prima del briefing, è stata registrata una scossa di terremoto dalla magnitudo di 5.4 sulla scala Ritcher. Ci siamo svegliati di soprassalto, accorgendoci poi che nessuno aveva lasciato la propria camera scendendo in strada. Questione di “abitudine”?

Fai triathlon? Ti invito a cena

Nelle trasferte all’estero, in generale, i ristoranti sono una parte difficile da coordinare. E lo è stato anche a Yokohama, dove spesso sono molto lenti nel servizio e fanno fatica a capire le modifiche che vorremmo apportare ai piatti. La soluzione, anche in questo caso, è un’arte. Quella dell’adattamento.

Il triathlon e l’arte dell’adattamento

Quello che ho voluto raccontarvi non è la disorganizzazione dei vari posti per lamentarmi di chissà cosa, bensì come sia strutturato il triathlon di alto livello. La gara parte già prima del viaggio e da come sappiamo adattarci a esso, al fuso orario e a tutti quegli aspetti che non possiamo modificare. L’imperativo, quindi, è sapersi adattare agli usi e costumi dei diversi Paesi e continenti e agli imprevisti che i diversi climi ci pongono di fronte.

Quando aiuto qualche atleta élite giovane a emergere, gli spiego che la grande difficoltà di gareggiare fuori dall’Europa è proprio la gestione del viaggio: il cibo, il jet lag, il viaggio, il sonno e non la “semplice” gara.

Ecco che allora pensare di avere tutto sotto controllo rischia di far perdere il controllo… ma soprattutto non è possibile e continuare a pensarlo porta al fallimento. Prevedere le possibili variabili è utile, temere i cambi di programma è solo una stupida paura che secondo la legge di Murphy si verificherà.

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