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Simone Diamantini

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La “cultura da piscina” vuole tanti metri e lavori specifici in ogni seduta di allenamento. Nel triathlon, però, le cose cambiano. E anche di molto.

Faccio il coach di triathlon di professione ormai dal 1996 e da molti anni vivo a contatto con allenatori di nuoto lavorando in una realtà come la DDS, che ha un passato glorioso di nuoto in piscina con ben 22 atleti alle Olimpiadi e parecchie medaglie olimpiche, mondiali ed europee.

All’inizio della mia carriera da allenatore, arrivando dal mondo dell’atletica, mi sono affidato in toto alla “cultura da piscina” e a tecnici che avevano quel “background culturale”. Quindi, tanti metri di allenamento per ogni seduta e ogni volta un lavoro specifico; soglia, Vo2, intermittente ecc.

Ma la mia curiosità e la mia cultura diversa, e successivamente anche la mia esperienza da campo internazionale, mi hanno consentito di intraprendere strade differenti.

Meno metri:

– per gli Elite di triathlon olimpico, fra 22-26 km a settimana

– per i PRO Ironman, 16-20 km (dipende dalle abilità natatorie)

– per gli Age Group di triathlon olimpico, circa 3 sedute da 3 km

– per gli Age Group Ironman, 2 sedute da 5 km.

La differenza macroscopica fra il coach da piscina e quello di triathlon è l’esasperazione della tecnica e dei metri per seduta. Nel nuoto in piscina c’è la ricerca spasmodica del “marginal gain”, perché è funzionale al miglioramento della velocità e del tempo.

Nel triathlon, a maggior ragione in quello amatoriale, il tempo da dedicare a 3 discipline ci orienta a essere pragmatici: pochi esercizi, quelli su galleggiamento e sulla presa in acqua, e molti esercizi che possano migliorare l’efficienza.

Partendo da un’idea: insegnare a nuotare bene a un adulto, se non lo ha fatto in età giovanile, è molto difficile, ma allenarlo a essere performante curando i macroerrori è molto più funzionale e pragmatico.

Quindi smettiamo di far fare le “sincronette” (con remate e troppi esercizi di tecnica, qualche allenamento all’anno ci può stare) ai nostri Age Group e iniziamo a farli nuotare con sistemi che aumentino il loro drag, via via sempre più metri e via via sempre più forte.

Il training di forza è un allenamento che ritengo fondamentale per permettere, sia a Elite sia ad Age Group, di non perdere efficienza nonostante scontri fisici, onde, navigazione, cambi di velocità ecc.

Lo so che posso sembrare non “politically correct”, ma imparare a nuotare in tarda età è difficile e farlo con esasperazione è, in un rapporto di “costi-benefici”, poco utile. Sono stanco di vedere gente che insegna a nuotatori neofiti come se dovessero diventare tutti Micheal Phelps.

Spesso la percezione degli allenatori di nuoto è che siccome arrivi dal triathlon, non comprendi il modello di prestazione dei 1.500, ma sei un po’ tutto e un po’ niente delle tre discipline.

Invece, ormai fra il mondo della piscina e quello del triathlon c’è proprio uno spartiacque, c’è la medesima differenza che può esserci fra andare in bicicletta da strada e in mountain bike: si pedala sempre, ma in modalità completamente diversa.

Quindi:

se insegno in un corso di nuoto, è corretto insegnare a nuotare il meglio possibile: è il mio compito e questo mi chiedono i partecipanti;

se mi alleno per il triathlon, specie per quello “no draft”, lo sguardo del mio coach da piscina dovrà essere improntato a darmi poche indicazioni e a farmi nuotare nel modo più efficiente possibile.

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