Tanto sono importanti i presupposti, quanto è importante sapere come organizzare il periodo di allenamento in altitudine. Ecco qualche consiglio su come farlo fruttare al meglio.
Parliamo ancora di allenamento in altura. Se nell’ultimo articolo, ci siamo soffermati sull’utilità e sui presupposti di questo tipo di training, in questo entreremo più nel dettaglio su come strutturare l’allenamento.
Considerando un periodo di 3 settimane, il lavoro va diviso in 5 sottoperiodi o microcicli:
1° fase di preparazione all’altitudine (4-5 giorni)
Si svolge a quote normali un allenamento non intenso e prevalentemente aerobico.
2° fase di acclimatamento (4-6 giorni)
Ripercorre il periodo precedente con carichi estensivi. Sono da evitare assolutamente carichi elevati, con importante produzione di lattato.
3° fase di training (3-4 settimane)
O si struttura un periodo centrale unico o due sottoperiodi di 8-10 giorni con 2-3 giorni di rigenerazione.
4° fase di riacclimatazione (da 5 a 10 giorni)
Si svolge alle condizioni del livello del mare.
5° fase
Si sfruttano gli adattamenti dell’allenamento in altitudine (il “momento” in cui un soggetto “digerisce” il training in quota è assolutamente variabile ma va dal 10° al 15° giorno fino a 30 giorni).
L’ACCLIMATAMENTO
Questa fase dura circa 4-5 giorni ed è il momento in cui è necessario impostare un allenamento che non dovrà mai essere pesante, ma solo di approccio soprattutto per quegli atleti che non hanno mai avuto precedentemente esperienze simili.
È, infatti, opportuno con triatleti giovani o che non hanno mai fatto esperienze di questo tipo iniziare con una serie di uscite a bassa intensità, 20-25% sotto le pulsazioni di soglia anaerobica.
Per chi soffre particolarmente questa situazione, è anche consigliabile fare delle sedute alternative, camminate, escursioni blande, ginnastica e stretching.
L’ALLENAMENTO
È la fase dell’allenamento propriamente detto in cui il training aumenterà sensibilmente. Può essere suddivisa in due sottogruppi: il primo è di lavoro prevalentemente aerobico mentre nel secondo si sostiene un training più qualitativo, considerando sempre che i lavori qualitativi in altura vengono effettuati a velocità e intensità più basse. Bisognerà, quindi, affrontare certi training, come per esempio in caso di salite dure e lunghe, a una velocità più bassa, ma con una frequenza cardiaca più alta.
È importante rispettare i tempi di pausa, che saranno più ampi
soprattutto nei lavori che intaccano il meccanismo anaerobico lattacido.
Si deve quindi fare molta attenzione a programmare un allenamento in alta quota, perché non è così ovvio che qualsiasi training effettuato debba produrre miglioramenti. È bene quindi considerare che ogni stimolo crea delle risposte differenti per ogni atleta e che queste risposte sono messaggi da interpretare e ai quali correlarsi per poter impostare le successive sedute allenanti.
È importante inoltre dare grande spazio alle terapie di ripristino delle energie, con trattamenti fisioterapici, detensione muscolare, training autogeno ecc..
IL RECUPERO
Dura circa 3-4 giorni e lo si imposta riducendo in misura massiccia volume e intensità del lavoro.
Questa programmazione del lavoro, cioè con un recupero prima della discesa al livello del mare, permette all’atleta di riportare alcune condizioni fisiologiche a valori normali, recuperando le energie fisiche dopo un ciclo di lavoro doppiamente duro.
Per un triatleta il momento più propizio per poter ottenere risultati di rilievo sembra essere o subito dopo la discesa (dopo 2-3 giorni) o dopo 3-4 settimane, cioè dopo aver “digerito” l’alta quota e avere effettuato quei lavori di qualità che non è utile eseguire a 2000 m.
I PRINCIPI METODOLOGICI DELL’ALLENAMENTO IN QUOTA
Il compito centrale assegnato all’allenamento in altitudine è lo sviluppo delle capacità di resistenza e di resistenza specifica alla forza e al mantenimento della rapidità senza compromettere il “sistema” con allenamenti lattacidi.
Le ricerche scientifiche applicate all’altitudine e all’allenamento dimostrano che l’inosservanza dei principi precedentemente indicati può portare a limitazioni negli effetti del lavoro in quota.
Se questo non viene svolto correttamente si possono produrre effetti negativi sia fisici che psichici. Possono addirittura durare parecchie settimane e generare sindromi simili all’overtraining.
Cosa non si deve fare:
– iniziare l’allenamento in quota con condizione di salute instabile
– basso livello di allenamento aerobico
– uso dei carichi troppo intensi e lattacidi
– inosservanza delle fasi di acclimatazione e riacclimatazione
– recupero insufficiente
– alimentazione non adeguata al volume di allenamento indicato.
IL CONTROLLO DEL CARICO DI ALLENAMENTO IN QUOTA
Attraverso il sapiente e attento controllo di alcuni valori è possibile avere il “termometro” della condizione dell’atleta:
– frequenza cardiaca e peso corporeo a riposo
– frequenza cardiaca durante l’allenamento estensivo per controllare le zone efficaci
– controllo dei livelli di lattato per restare nei range previsti per lo sviluppo della resistenza di base
– controllo e correzione tecnici, per mantenere il gesto sportivo corretto ed efficiente
– controllo, con “striscette” adeguate dell’urea e del CPK per capire quanto il singolo soggetto abbia “digerito” il programma di allenamento
– controllo alimentare per evitare si sviluppino carenze.
QUALCHE CONSIDERAZIONE
Alcune considerazioni riguardano i pre-requisiti per effettuare un training in altura: l’atleta deve essere in piena efficienza psicofisica e dotato di un meccanismo aerobico già altamente produttivo.
È importante valutare le proprie richieste o se siamo tecnici, considerare come l’atleta supererà la crisi di acclimatamento, la cui durata è estremamente personale ed è influenzata soprattutto dal fatto se vi siano già state altre esperienze o se si è alla prima.
Mantenere una corretta alimentazione consente un maggior recupero. Risulta importante soprattutto la reidratazione: molti atleti perdono subito grossi quantitativi di acqua attraverso le vie aeree; in montagna infatti, essendo l’aria più secca che a livello del mare, si ottiene una maggiore dispersione di vapore acqueo.
IL PULSIOSSIMETRO
È utile nei primi giorni, ma anche durante il soggiorno, avvalersi di questo piccolo strumento che ha un costo estremamente relativo e che indica quanto i nostri tessuti siano saturi di ossigeno.
Spesso a livello del mare il dato di saturazione si aggira intorno ai 98-99%, mentre in quota, a seconda dei soggetti e del periodo, è variabile i primi giorni a 90-94%. Questo dato ci dà l’indicazione su come ci stiamo adattando alla quota.
PER APPROFONDIRE L’ARGOMENTO
L’allenamento in quota: carichi di lavoro, volume, ritmi ed intensità.
L’esperienza della marcia del fondo rapportata all’ultramaratoneta.
La Torre, Pugliese. Università statale di Milano, Facoltà Scienze Motorie.
Convegno nazionale di Ultramaratona 2010 – Padova.
Bailey, D.M. and Davies, B. (1997). Physiological implications of altitude training for endurance performance at sea level: A review. British Journal of Sports Medicine, 31, 183-190.
Millet GP1, Roels B, Schmitt L, Woorons X, Richalet JP. Combining hypoxic methods for peak performance. ISSUL, Institute of Sport Science, University of Lausanne, Lausanne, Switzerland.
Current trends in altitude training Wilber Rl. Sport Science and Technology Division, United States Olympic Committee, Colorado Springs.
Levine BD1, Stray-Gundersen J. Dose-response of altitude training: how much altitude is enough? Institute for Exercise and Environmental Medicine, Presbyterian Hospital of Dallas, University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas.